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Perché molte patologie faticano ad essere diagnosticate nelle donne? Lo scopriamo attraverso la storia di T.

M olte patologie faticano ad essere diagnosticate nelle donne, nonostante siano invalidanti e molto diffuse, si trascinano dietro spesso un ritardo diagnostico di circa 7 anni. Parliamo ad esempio di vulvodinia, vaginite, neuropatia del pudendo, fibromialgia, endometriosi, incontinenza urinaria e fecale, ipertono dei muscoli del pavimento pelvico, affezioni vulvovaginali: prurito, bruciore, rossore, cistiti post coitali, dolore durante i rapporti sessuali e di tutte le varie forme di dolore pelvico, sono non solo poco trattate, ma addirittura considerate “fisiologiche o psicosomatiche”.

La sistematica svalutazione del dolore delle donne, sminuito, normalizzato, messo a tacere – affonda le proprie radici in un sostrato biologico e culturale (che vuole le donne vulnerabili e lamentose, gli uomini stoici e restii a chiedere aiuto). L’esperienza del dolore, condannata dall’assenza di “prove oggettive” che possano dimostrarne la sussistenza, è talmente radicata al punto che molte donne o persone socializzate come tale, rischiano di non vedersele mai riconosciute queste disfunzioni pelviche.

Questo succede anche perché le disfunzioni pelviche non sono ancora considerate ufficialmente un disturbo medico e vengono di fatto marginalizzate, per non dire escluse, dal Sistema Sanitario Nazionale,  le cure per la riabilitazione del pavimento pelvico non sono inclusi nei Livelli essenziali di assistenza (Lea). Il tutto quindi si traduce nell’assenza di esenzione per patologia, nella non copertura di tutta una serie di trattamenti e nella mancanza di centri ad hoc, in ambito di sanità pubblica, capaci di affrontare il problema. Molte donne sono costrette a intraprendere costose trasferte per l’assenza sul territorio di specialisti opportunamente formati.

 

Pensarsi, raccontarsi, esistere come paziente, sono i primi passi per una guarigione a lungo termine

Abbiamo chiesto a T. paziente della dott.ssa Ostetrica Teresa Mastrota che esercita presso Io Calabria, di raccontarci cosa voglia dire soffrire di una disfunzione pelvica e riuscire ad intraprendere un percorso di cura.

 

“Quando, la prima volta, sono arrivata in studio dalla dottoressa Mastrota non avevo grandi aspettative, anzi quasi nulle. Questo perché dopo quattro anni di inutili cure, visite frettolose, diagnosi non corrette e poca considerazione per i sintomi che lamentavo e che non mi permettevano di vivere una vita ‘normale’, avevo perso quasi le speranze, e l’unica cosa che pensavo potessi fare era adeguarmi a questo nuovo stile di vita (disagiante).
Ma, esponendo i miei problemi alla dottoressa Mastrota, per la prima volta mi sono sentita VISTA. La visita, molto accurata e delicata, è avvenuta subito dopo un’attenta anamnesi della mia personale storia clinica, che mai prima di quel momento mi era stata fatta.
Sono uscita dallo studio molto triste, ma allo stesso tempo molto contenta. Triste perché ho dato un nome reale a ciò che sentivo e avevo, e consapevole del percorso che mi avrebbe atteso da lì ai prossimi mesi. Ma tanto, tanto felice perché finalmente avevo la possibilità di riprendere in mano la mia vita, fare qualcosa di concreto per curarmi, e sapere di avere il costante supporto di una persona competente, preparata ma soprattutto UMANA. Si, umana. Perché nessuno specialista visto fino a quel momento mi aveva trasmesso quella stessa sensazione.
Pur non avendo particolari aspettative su quello che sarebbe stato il metodo di lavoro ed il suo successo, ho comunque deciso di fidarmi di un metodo ‘alternativo’.

All’inizio presentavo un forte rossore vulvare, dato anche da detergenti, creme e ovuli non adatti alla mia condizione. Percepivo dei taglietti nella zona della forchetta, bruciore e dolore spontaneo, che peggioravano al tocco. Questa condizione è migliorata dopo i primi due mesi dall’inizio della riabilitazione, grazie anche all’utilizzo di un detergente specifico e delicato, di integratori mirati di un gel lenitivo, agli esercizi di respirazione, e a delle nuove ‘norme’ comportamentali. A livello anale presentavo una piccola ragade che stiamo tutt’ora trattando con una crema ad hoc, oltre a lavorare costantemente sulla riabilitazione pelvica. Durante questo percorso non ho avuto episodi di cistite acuta; ho però continuato ad avere sintomi che mi preannunciavano l’infiammazione vescicale (dolore, bruciore post minzione, pesantezza, sensazione di incompleto svuotamento). Ad oggi questi sintomi sono presenti, ma si concentrano soprattutto nella fase premestruale, ed inoltre non sto avendo cistiti postcoitali. Questo grazie alle tecniche di rilassamento del pavimento pelvico, nonché anche alle posizioni di scarico.

Il percorso dunque comprende un lavoro sinergico da più punti di vista, che mi hanno permesso di avere degli ottimi risultati. All’inizio le sedute di riabilitazione erano fastidiose, soprattutto quando si lavorava sulla muscolatura vulvare. Oggi, a distanza di quattro mesi, questo fastidio è quasi completamente sparito. L’unico aspetto su cui stiamo ancora lavorando è quello vescicale, ma confido molto in questa riabilitazione, perché mi ha portato grandi risultati. Grazie a questo percorso ho potuto notare molti cambiamenti: in primis ho preso conoscenza e consapevolezza del mio corpo, ho imparato ad ascoltarlo, a sentirlo e ‘riabilitarlo’, attraverso gli esercizi di respirazione e massaggi. La cistite non si è ripresentata, e anche se non sono esente da alcuni sintomi che la preannunciano, riesco a captarli e agire consapevolmente. La vestibolite vulvare è quasi un ricordo, non ho più i taglietti che lamentavo, né il dolore o il bruciore spontaneo, né tantomeno l’arrossamento che non mi permetteva di utilizzare nemmeno gli slip.
Certo, ancora il percorso è in corso, ma grazie alla riabilitazione del pavimento pelvico, alla competenza e professionalità della specialista, oggi ho una vita normale, e sto scoprendo anche una nuova sessualità. Ringrazio tantissimo la dottoressa per essermi stata vicina anche psicologicamente, anche con una parola di conforto, anche solo con il sorriso con cui mi accoglieva ad ogni seduta di riabilitazione. Grazie, grazie, grazie”.

 

Perchè succede tutto questo?

 

La mancata discussione pubblica sul piacere e desiderio sessuale femminile è strettamente correlato al discorso sulla salute sessuale femminile. Difficoltà a raggiungere l’orgasmo, calo del desiderio o dolore durante il rapporto, sono problemi sessuali femminili talmente diffusi da riguardare quasi una donna su due. Sulla sessualità femminile pesano infatti ancora tabù e false credenze che sembrano essere estremamente interiorizzate non solo nella società ma anche a livello scientifico, tra i professionisti della salute a cui le donne si rivolgono. In menopausa ad esempio diventa tutto fisiologico! Il dolore è fisiologico, la secchezza vaginale è fiosologica, l’incontinenza urinaria è fisiologica, non avere più rapporti sessuali è normale e non più necessario… Ad un certo punto una donna non è più attenzionata come paziente da curare per poter ripristinare il suo benessere intimo, ma come persona “vecchia” che va incontro alle “naturali e fisiologiche” complicazioni della vecchiaia. Tant’è che l’incontinenza urinaria ad esempio non è vista dal Ssn come una problematica facilmente risolvibile tramite riabilitazione. Ma offre pannoloni e assorbenti!!

 

Conclusioni: come cambia una visita ginecologica fatta tenendo conto di tutto quello che abbiamo illustrato?

 

Lo abbiamo chiesto alla Dott.ssa Ostetrica Teresa Mastrota: <<Il dolore, il disagio, la fretta, non fanno parte di una buona visita ginecologica! Consenso – Rispetto – Cura sono presupposti fondamentali per una buona visita. Un controllo ginecologico, comprensivo pure di valutazione pelvica, deve rappresentare uno spazio sicuro per chi si sottopone alla prestazione sanitaria. Il tutto deve avvenire con calma, senza fretta, rispettando i tempi della paziente! Cos’è uno spazio sicuro? Uno spazio sicuro è un luogo dove neanche una visita ginecologica viene eseguita senza il costante dialogo, informazione e consenso richiesto ed espresso dalla paziente! Pare banale, viene dato per scontato, ma non sempre chi si sottopone ad una visita sa cosa accadrà ed è preparato ad affrontarlo. Inserire lo speculum, fare un tampone, usare le dita o una sonda vaginale, possono rappresentare per la paziente una fonte di stress e ansia, oltre che dolore se inseriti con fretta e in silenzio. Ecco perché l’operatrice sanitaria è tenuta ad anticipare ogni mossa, spiegando cosa avverrà e facendo attenzione ad eseguire ogni test diagnostico solo avendo ottenuto il consenso>>.

Giornalista ed imprenditrice, esperta in tematiche riguardanti gli stereotipi di genere nella medicina. Titolare del centro Io Calabria e Direttrice di Io Calabria Magazine