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Genitori alla pari: tempo, lavoro, libertà sono equamente distribuiti in famiglia?

N on è certo un mistero che in Italia il lavoro di cura ricada principalmente sulle spalle delle donne. Quello verso le persone anziane della famiglia ma anche e soprattutto nei confronti dei bambini e delle bambine, di cui i genitori raramente si occupano con tempistiche e modalità paritarie. A dirlo, oltre alle esperienze personali e ai racconti che le madri si scambiano quotidianamente, sono soprattutto i dati. Secondo un’indagine di Openpolis, circa un terzo delle donne tra i 25 e i 49 anni dedica oltre 50 ore a settimana alla cura dei figli; gli uomini che lo fanno sono meno del 10%. Un quinto delle madri (20,5%) arriva a dedicare oltre 70 ore all’accudimento, contro il 6,3% dei padri. Ma non solo, ogni anno una madre lavoratrice, rispetto a un padre lavoratore, passa due mesi in più a prendersi cura della famiglia. Mentre lui legge, studia, va a correre, esce con gli amici, fa gli straordinari, si intrattiene col capo da cui dipende la promozione, lei va a prendere i figli a scuole, li porta a fare sport e li aiuta con i compiti.
Uno squilibrio del quale spesso nemmeno ci si rende conto, che perpetuandosi da secoli è diventato un automatismo che però danneggia tutti: genitori, figli e società. Un modello che fortunatamente, come ci ha spiegato Alessandra Minello, autrice insieme a Tommaso Nannicini del libro Genitori alla pari, le nuove generazioni stanno provando a interrompere «perché i padri vogliono fare i padri e le coppie giovani e quelle maggiormente istruite hanno ben presente come la condivisione della genitorialità sia importante e positiva per tutti. Senza un aiuto istituzionale però un vero cambiamento è impossibile».

 

Aiuto che al momento non sembra arrivare

Ad oggi no. Nelle nuove famiglie c’è un’evoluzione verso la parità che però non viene riconosciuta dalla classe politica dominante, la cui idea di famiglia è ancora molto conservatrice.
Il governo si pone il problema delle esigenza delle madri lavoratrici ed è già un passo avanti rispetto al passato, ma concentrandosi solo su questo porta comunque avanti una visione che si discosta dal concetto di parità genitoriale perché dà ancora per scontato che il lavoro di cura non sia condiviso ma spetti per prime alle donne.
L’idea alla base di Genitori alla pari è però che l’unica via percorribile per innescare una vera evoluzione sia farla guidare da un cambiamento di tipo istituzionale che poi a caduta, passo dopo passo, cambierebbe la cultura del Paese.

 

Sperare nel processo inverso, la cultura che impone strategie nuove alle istituzioni, è utopistico?

Sarebbe una strada più difficile e lunga perché, anche se le nuove generazioni stanno già abbracciando il cambiamento, il resto della popolazione no e al momento non abbiamo una classe educante che va verso la cultura della parità. Per agire in modo concreto serve ragionare in maniera diversa, partendo dalla struttura. La nostra proposta in tal senso è quella di adottare per prima cosa un sistema di congedi di paternità e maternità sul modello spagnolo, che dal 2021 prevede 16 settimane a ciascun genitore al 100% dello stipendio.

 

Perché in Italia si fa così fatica a farlo?

Perché è molto comodo lasciare la situazione così com’è, mantenendo inalterati non solo gli squilibri di genere nelle famiglie ma anche nel welfare, cosa che a una grossa fetta della popolazione risulta favorevole e che è supportata anche da un contesto culturale come quello italiano dove la spinta religiosa, benché meno rispetto al passato, è ancora molto forte e la tradizione rimane ancorata a una certa visione della famiglia e della coppia dalla quale è difficile uscire. Per questo nel libro parliamo di rivoluzione perché c’è bisogno di un cambiamento culturale fortissimo per staccarci da un modello che ci accompagna da tantissimo tempo e che ha creato una struttura sociale nella quale genitori, nonni e rete familiare sopperiscono alle carenze di servizi che altrimenti dovrebbero essere pensati e realizzati dallo Stato.

 

Dovrebbe ad esempio cambiare il sistema scolastico

Certamente, a partire dal calendario e dalla garanzia di maggiori servizi sportivi, pre e post scuola, ma anche semplicemente di mense adeguate e di un orario lungo in aree in cui è poco diffuso. Questo però ovviamente renderebbe necessario un investimento anche economico significativo e una ridefinizione del mercato del lavoro, che a sua volta migliorerebbe diversi aspetti ancora oggi critici come ad esempio il gender pay gap.

 

In che modo?

La disparità salariale spesso in Italia è data dal tempo del lavoro. Se quello possibile da dedicarvi, che comprende non solo le ore previste dal contratto ma anche la possibilità di fare straordinari, è ad appannaggio degli uomini perché le donne devono dedicarsi alla cura, aumenta la disparità salariale tra i generi. La questione però non si porrebbe se si ridefinisse il lavoro secondo altri parametri. In alcuni Paesi, ad esempio, per i lavoratori e le lavoratrici che non vogliono rimanere a casa per un periodo prolungato dopo la nascita del figlio o della figlia esiste la possibilità di usufruire di part time di coppia, distribuiti su entrambi i genitori e non ad appannaggio di uno solo. Nelle grandi aziende adesso qualcosa di questo tipo si fa anche in Italia ma nella maggior parte non è ancora chiaro quanto sia importante offrire alle famiglie, anche a prescindere dal fatto che ci siano o meno figli, benefici e servizi aggiuntivi. Questo aspetto andrebbe incentivato a livello statale. Come negli anni si sono date agevolazioni alle aziende green, così dovrebbe essere per quelle che garantiscono il congedo di paternità. In questo modo si darebbe un’ulteriore spinta al cambiamento.

 

Il problema è anche che in Italia il più delle volte il lavoro è ancora basato su una scansione temporale rigida.

Esatto, e per questo a cambiare dovrebbe essere anche la mentalità. La questione tempo oggi è sempre centrale e guida le possibilità lavorative, mentre se ridefinissimo il valore del lavoro valutandolo ad esempio non attraverso il tempo ma gli obiettivi, molte cose cambierebbero. Questo modello viene già applicato molto all’estero e in Italia alcune grandi aziende lo stanno sperimentando anche in processi lavorativi in cui si è sempre detto fosse difficile da attuare, come la produzione. Molte piccole imprese però sono ancora restie e questo indubbiamente rallenta il cambiamento.

 

Parlando di genitorialità condivisa spesso si fa riferimento a due figure ben precise, un padre e una madre, e a condizioni sociali, economiche e culturali nella media, dimenticando che non tutte le famiglie sono così

Purtroppo succede, ma perché il cambiamento sia davvero tale vanno ovviamente inserite nel dibattito tutte le forme. Ci sono famiglie mono affettive che non sono riconosciute o famiglie che hanno bisogni diversi come quelle dove è presente una persona con disabilità e in cui la questione della cura e della sua parità non vengono abbastanza sostenute. Ma anche famiglie di origine straniera che hanno meno reti familiari intorno e necessitano di maggiore supporto da altri canali. Per non parlare di quelle monogenitoriali dove possono esserci altre figure di riferimento oltre alla madre e al padre che vanno incluse nel quadro. Sono tanti insomma gli ambiti a cui guardare.

 

La ripartizione equa della genitorialità è anche questione di privilegio? Mi spiego meglio: in molte famiglie con possibilità economiche ridotte è spesso l’uomo a lavorare di più fuori casa e ad avere di conseguenza meno tempo per i figli, anche indipendentemente dalla propria volontà. Questo però genera inevitabilmente uno squilibrio economico all’interno della coppia, oltre che di tempo di cura. Cosa si può fare in situazioni simili?

Purtroppo sono scenari complessi nei quali però è ancora più importante parlare di parità ed equilibrio, perché la dove manca c’è meno possibilità per le donne anche di uscire da relazione violente o nelle quali semplicemente non vogliono più stare. Sono consapevole che non sempre la parità genitoriale sia facilmente attuabili e non sto dicendo che è obbligatorio per tutte le donne entrare nel mercato del lavoro se la loro spinta personale è quella di dedicarsi alla cura. Quella per la quale mi batto però è la consapevolezza delle opzioni esistenti.
Qualsiasi desiderio dovrebbe essere svincolato dalle pressioni sociali, quindi è necessario creare una struttura che dia maggiore possibilità di scelta alle donne e più consapevolezza delle strade che possono prendere. Ci sono molte famiglie in cui vige un’organizzazione tradizionale dei ruoli e questo si traduce in uno svantaggio prevalentemente femminile nel mercato del lavoro e in una definizione dei ruoli netta che va riequilibrata perché altrimenti si creano dinamiche di potere pericolose. Cambiare quelle dimensioni non è semplice perché significa una ridefinizione delle identità familiare, dei modi di cui si fa la cura e una cessione delle decisioni all’interno della famiglia che non è immediata. Anche per questo si parla di rivoluzione, perché si deve cambiare tutto e tutti.

 

Farlo impatterebbe anche sull’educazione delle nuove generazioni?

Sì. Tutti i sondaggi dicono nettamente che i ragazzi e le ragazze che crescono in contesti più paritari poi da adulti hanno atteggiamenti più paritari e che vivendo in famiglie in cui la cura è condivisa saranno più propensi a replicare quel modello.

 

 

Consiglio di lettura

Il saggio di Alessandra Minello e Tommaso Nannicini Genitori alla pari (Feltrinelli)

 

 

Scrittrice compulsiva, ha iniziato a muovere i primi passi nel giornalismo occupandosi di cronaca e politica locale, per poi passare a collaborare con diverse testate nazionali, approfondendo soprattutto tematiche riguardanti femminismo, uguaglianza di genere e diritti. Nel 2020 ha pubblicato il libro Libertà condizionata sul diritto all’aborto in Italia dall’entrata in vigore delle legge 194 ad oggi; e nel 2021 Non siete Stato voi, che indaga le violenze da parte delle forze dell’Ordine, entrambi editi dalla casa editrice People. Femminista ultra convinta e appassionata di arte e make-up, non uscirebbe mai senza rossetto.