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Cosa sta succedendo in queste ore in Afghanistan?

Dopo 20 anni di guerra il Paese torna in mano ai talebani.

La nuova offensiva talebana è partita a maggio 2021: in poche settimane le milizie islamiche hanno raso al suolo tutto, compresi diritti, dignità, speranze. Le forze NATO si sono ritirate, l’esercito si è disfatto, nessuna alleanza straniera è intervenuta con nuove missioni. Con pochi combattimenti, i talebani hanno riconquistato il potere a piene mani. Come scrive l’ISPI-Istituto di Politica Internazionale, “la vittoria e il ritorno dei talebani alla guida del Paese dipende in ultima analisi dalla debolezza delle forze armate, nonostante 2mila miliardi di dollari stanziati in vent’anni per addestramento ed equipaggiamenti, e dalla mancanza di legittimità delle istituzioni afghane”.

 

Chi sono i talebani?

 

Perlopiù sono ex studenti delle scuole religiose islamiche cresciute sin dagli anni Settanta nel Pakistan conservatore, finanziate in buona parte dall’Arabia Saudita e legate alle tradizioni di pensiero del wahabismo sunnita, teso alla ricerca della purezza originaria dell’Islam. Le loro radici dirette nascono dalla jihad (la guerra santa) contro l’invasione sovietica negli anni 80, allora finanziato dagli americani nel contesto della Guerra Fredda per frenare l’influenza sovietica. Furono poi nel 1994 il Mullah Omar, assieme al suo numero due Mullah Abdul Ghani Baradar, a fondare i talebani tra gli studenti delle scuole religiose di Kandahar. Ma allora gli americani se ne erano andati lasciando il Paese al compito impossibile di ricostruire le città distrutte.

Nel 1996, quando i talebani presero il potere in Afghanistan. L’ex presidente Najibullah fu torturato e impiccato ad un lampione, gli uomini obbligati a farsi crescere la barba, le donne a indossare il burqa, le scuole femminili vennero tutte chiuse. Furono istituite le forze di “polizia morale” agli ordini dell’agenzia per la Promozione della virtù e l’eliminazione del vizio. Le donne che uscivano non accompagnate da uomini venivano picchiate per strada. Vietatissimo andare in bicicletta. Il calcio e la musica furono banditi. La sharia divenne legge. Kabul divenne l’epicentro di uno stato violento, repressivo e rifugio dei terroristi di tutto il mondo. Lo stadio cittadino iniziò ad essere usato per le esecuzioni pubbliche.

Dopo la loro velocissima sconfitta nell’ottobre-novembre 2001 si dispersero sulle montagne. Ma già nel 2006 erano di ritorno. Nel 2013 moriva Mullah Omar. Lo sostituì il Mullah Akhtar Mansour, poi ucciso nel 2016 da un drone americano. Da allora li guida il 61enne Hibatullah Akhundzada, ex capo delle Corti islamiche esperto in legge religiosa. Oggi cresce la possibilità che alla presidenza del loro nuovo governo sia nominato Baradar, che ha negoziato gli accordi di Doha con gli americani.

 

L’Afghanistan non esiste più. Ora si chiama Emirato Islamico dell’Afghanistan

 

Dal 15 agosto 2021, il presidente de facto è il mullah Abdul Ghani Baradar. La struttura del nuovo governo è ancora da definire, ma dovrebbe esserci una guida completamente islamica e “tutte le parti dovrebbero partecipare”.

Anche le donne, dicono. Silenziate, torturate, stuprate, coperte, piegate al volere degli uomini per anni sotto il crudo regime talebano, ora potrebbero ricoprire ruoli governativi? L’Emitato islamico “non vuole che le donne siano vittime. Dovrebbero essere nella struttura del governo in base alla sharia”. Queste le parole riportate da al-Jazeera e dalla turca Trt pronunciate dal rappresentante della “commissione cultura” dei talebani Enamullah Samangani. Un’apertura questa, alle donne, puramente propagandistica.

 

Intanto le donne per sopravvivere devono cancellare la propria identità

 

Racconta al The Guardian una studentessa afgana, rimasta anonima, come domenica 15 agosto stesse “andando all’università per una lezione ,quando un gruppo di donne è uscito di corsa dal dormitorio femminile. Ho chiesto cosa fosse successo e uno di loro mi ha detto che la polizia li stava evacuando perché i talebani erano arrivati ​​a Kabul e avrebbero picchiato le donne senza burqa. Volevamo tutti tornare a casa, ma non potevamo usare i mezzi pubblici. Gli autisti non ci lasciavano salire sulle loro auto perché non volevano assumersi la responsabilità del trasporto di una donna. È stato anche peggio per le donne del dormitorio, che vengono da fuori Kabul non sapevano dove avrebbero potuto andare a rifugiarsi. Nel frattempo, gli uomini intorno si prendevano gioco di noi, ridendo del nostro terrore. “Vai e mettiti il chadari [burqa]”, ha gridato uno. “Sono i tuoi ultimi giorni in giro per strada”, ha detto un altro. “Sposerò quattro di voi in un giorno”, ci ha urlato sghignazzando un terzo. Ho quasi completato due lauree simultanee da due delle migliori università in Afghanistan . Avrei dovuto laurearmi a novembre all’Università americana dell’Afghanistan e all’Università di Kabul, ma stamattina tutto mi è crollato davanti agli occhi. Ho lavorato tanti giorni e tante notti per diventare la persona che sono oggi, e questa mattina, quando sono arrivata a casa, la prima cosa che io e le mie sorelle abbiamo fatto è stata nascondere i nostri documenti d’identità, diplomi e certificati. È stato devastante. Perché dovremmo nascondere cose di cui dovremmo essere orgogliosi? In Afghanistan ora non ci è permesso essere le persone che siamo. Come donna, mi sento vittima di questa guerra politica iniziata dagli uomini. Mi sento come se non potessi più ridere ad alta voce, non posso più ascoltare le mie canzoni preferite, non posso più incontrare i miei amici nel nostro caffè preferito, non posso più indossare il mio vestito giallo preferito o il rossetto rosa. E non posso più andare al mio lavoro o finire la laurea che ho lavorato per anni per ottenere. Non mi aspettavo che saremmo state private ​​di nuovo di tutti i nostri diritti fondamentali e che saremmo tornate indietro a 20 anni fa. Che dopo 20 anni di lotta per i nostri diritti e la nostra libertà, saremmo dovute andare a caccia di burqa e saremmo state obbligate a nascondere la nostra identità.”

 

La Fondazione Pangea Onlus

 

Bruciare tutti i documenti per “non mettere a rischio la vita” di migliaia di donne e bambini aiutati in quasi 20 anni di azione umanitaria sul posto. La Fondazione Pangea Onlus, organizzazione no-profit che operava a Kabul con diversi progetti, tra cui il progetto Jamila per aiutare, in primis, donne svantaggiate e bambini, ha pubblicato su Facebook un video in cui alcune donne distruggono tutti i documenti raccolti in anni di lavoro. “Bruciamo tutto perché nulla possa mettere a rischio la vita delle decine di migliaia di donne e bambini che abbiamo aiutato e stiamo aiutando. Oggi la giornata si concentra su questo a Kabul mentre dall’Italia il lavoro è incessante affinché si possano salvare più donne e bambine possibile. Non le lasciamo sole, non lasciateci soli!”, si legge a didascalia delle immagini. Un’azione obbligata dopo l’ingresso nella capitale afgana delle milizie talebane e dopo l’abbandono del Paese da parte delle truppe statunitensi.

Per sostenere Pangea clicca qui

 

Cosa può fare la Calabria? Presidio in solidarietà con le donne afghane #conledonneafghane

 

Centro di Women’s Studies “Milly Villa” – Università della Calabria
Comune di Rende – Assessorato alle Pari opportunità
Donneincammino APS
ARCI Cosenza
CPO Ordine degli Avvocati – Cosenza
Futura Calabria

Lunedì 23 agosto 2021 alle ore 19:00 in Via Rossini (Municipio di Rende), si svolgerà un presidio in sostegno delle donne afghane.

In queste ore che segnano la nascita dell’Emirato islamico in Afghanistan, assistiamo all’ennesima catastrofe umanitaria che vede coinvolte soprattutto le donne e le bambine, vittime di una quarantennale partita geopolitica e di un’oppressione patriarcale che si rinnova nei fondamentalismi religiosi. In questa fase di emergenza, chiediamo che le istituzioni e le comunità si attivino con urgenza per sostenere tutte le persone – e soprattutto le donne e le soggettività non binarie – che vogliono sottrarsi all’oppressione del regime talebano, aprendo immediatamente corridoi umanitari che permettano di sfuggire alle violenze.
Insieme, vogliamo promuovere sinergie per attivare percorsi comunitari e istituzionali che diano risposte concrete sia per affrontare l’emergenza, sia per costruire percorsi comuni di lungo periodo.
Non vogliamo e possiamo accettare che ancora una volta, sui corpi delle donne, si consumi l’ennesima guerra.

Per adesioni e informazioni: centrows.unical@gmail.com

Giornalista ed imprenditrice, esperta in tematiche riguardanti gli stereotipi di genere nella medicina. Titolare del centro Io Calabria e Direttrice di Io Calabria Magazine