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Quanto incide il carico mentale femminile nei percorsi di cura?

S e intraprendere un percorso di cura è sempre più complesso, pare che per le donne – come al solito – sia un vero e proprio percorso ad ostacoli. Eh no! Giuro che non si tratta di “retorica femminista” ma di un vero e proprio problema culturale, sociale e sanitario.

Le motivazioni sono molteplici, ma oggi poniamo l’attenzione su due aspetti presi poco in considerazione che portano le donne ad abbandonare i percorsi di cura, a mettere da parte la propria salute perché non prioritaria: il carico mentale e una medicina di genere misogina.

 

Ma com’è possibile che per una persona la salute non sia una priorità?

 

Partiamo dal primo punto: ormai lo sappiamo benissimo che alcune patologie e/o disfunzioni che riguardano il corpo delle donne non sono prese in considerazione, non vengono analizzate scientificamente e diventano focus sanitario solo nel momento in cui rappresentano un reale introito economico.

Come funziona davvero il corpo delle donne, quali siano le cure più adatte, quali farmaci siano più utili rispetto ad altri, non è un indagine sistematica nelle ricerche cliniche, perché -banalmente – indagare ha un costo maggiore, per via delle variazioni ormonali femminili (ciclo mestruale, menopausa, ma anche gravidanza e puerperio). Peccato che anche dal punto di vista della farmacocinetica e farmacodinamica (cioè come il corpo assorbe ed elimina il farmaco e come il farmaco agisce sull’organismo), uomini e donne siano diversi anche nel metabolismo, nell’invecchiamento, nel sistema immunitario.

Ma in cosa sono diversi gli uomini dalle donne in ambito medico? La Fondazione Veronesi elenca le principali differenze, dandoci una visione più dettagliata e ampia:

  • Farmaci

Variazioni ormonali, peso, composizione corporea, acidità gastrica, sono tutti fattori diversi tra i due sessi e possono influenzare l’assorbimento e l’efficacia dei farmaci. Le dosi sono stabilite principalmente sugli uomini, che hanno un diverso metabolismo e di solito pesano di più, e questo può risultare in una maggiore tossicità del farmaco nella donna.

  • Malattie cardiovascolari

Si crede siano patologie maschili, ma colpiscono anche le donne, soprattutto dopo i 75 anni. La donna può presentare sintomi dell’infarto differenti (possono avvertire affanno o disturbi gastrici invece del classico dolore al braccio sinistro, presente più negli uomini).

  • Malattie dell’osso

Qui è il contrario: si pensa che l’osteoporosi colpisca solo le donne. In realtà i dati dimostrano che in Europa il 6% degli uomini tra i 50 e i 90 anni presenta osteoporosi. La maggior parte dei farmaci per l’osteoporosi sono stati studiati solo nella donna e non sono attualmente prescrivibili agli uomini.

  • Malattie autoimmuni

Le malattie reumatiche ed autoimmuni interessano soprattutto le donne perché hanno un sistema immunitario più efficiente che, se da un lato le protegge da infezioni batteriche e virali, dall’altro le rende più soggette a patologie autoimmuni.

  • Vaccini

Le donne hanno reazioni immunitarie innate e acquisite più forti rispetto agli uomini. Ma manifestano effetti avversi con maggior frequenza: questo può essere associato alla possibile influenza di fattori biologici, ormonali e genetici non ancora completamente definiti e, ancora una volta, ai risultati ottenuti da studi clinici effettuati su una maggioranza di uomini.

  • Oncologia

La mortalità per cancro del polmone dagli anni ’50 ad oggi è aumentata del 500 per cento nella donna che sviluppa il cancro del polmone 2,5 volte in più dell’uomo, anche se non fumatrice. Il cancro del colon è un altro esempio di tumore con caratteristiche differenti: nelle donne insorge più spesso nel tratto ascendente dell’intestino, negli uomini in quello discendente. Questa diversa localizzazione si riflette sulla validità del test per la ricerca del sangue occulto nelle feci. Per questo andrebbe maggiormente considerata ed estesa ad età più avanzata la colonscopia, oggi usata come esame di conferma del risultato della ricerca del sangue fecale.

  • Autismo e ADHS

Spesso queste sindromi vengono diagnosticate più tardi nelle ragazze, perché sviluppano strategie di adattamento che mascherano i sintomi.

  • Demenza

viene diagnosticata più tardi nelle donne perché riescono a ricordare le parole meglio degli uomini.

  • Depressione

Viene accertata più tardi negli uomini perché colpisce prevalentemente le donne e quindi viene sospettata meno di frequente nei maschi.

  • Parkinson

Colpisce maggiormente gli uomini, che spesso si ammalano prima delle donne. Tuttavia, le donne malate di Parkinson ne muoiono prima.

 

C’è anche un altro aspetto che rende complesso avere una diagnosi per una donna: la medicina è un campo dominato tradizionalmente dagli uomini, il che ha portato e porta alla discriminazione sistematica delle donne anche nell’assistenza medica, inducendole a rivolgersi sempre meno ai sanitari. Non solo come abbiamo visto gli studi clinici vengono condotti perlopiù su pazienti di sesso maschile, le posizioni direttive nelle università, negli ospedali e negli studi medici sono ricoperte in prevalenza da uomini, che ignorano completamente aspetti sociali e culturali (oltre che di salute) femminili.

Questo modo di pensare e agire in ambito medico, non ha solo prodotto una risposta sanitaria mediocre per le donne, rendendo il loro corpi più vulnerabili e sempre più circoscritti alla riproduzione (come risposta sanitaria è quella più completa in ambito ginecologico) ma ha completamente oscurato alcune patologie femminili e ha convinto la donne che queste problematiche fossero immaginarie, una risposta psicosomatica di una mente troppo volubile.

 

Malattie invisibili: una donna su sette ne soffre, ma per il ministero della salute non esistono

 

Molte donne sono costrette a lasciare il lavoro perché il dolore è insostenibile e non coincide spesso con un lavoro fisico impegnativo. Anche la vita privata e relazionale è messa seriamente in discussione, non permettendo per lunghi periodi di avere una vita normale. Questo comporta anni passati ad entrare e uscire dagli ospedali, ad intraprendere cure che poi si rivelavano sbagliate, a fare esami inutili, a cercare un* medic*, poi un altr* e un altr* ancora: ginecolog*, ostetriche, urolog*, reumatolog*, con diagnosi diverse, ambigue e spesso cariche di “medical gaslighting” (abuso emotivo): «Non hai nulla, è tutto nella tua testa. Sei ipocondriaca, sei frigida. Tutte soffrono, il dolore è normale per una donna, perché tu non dovresti soffrire?».

Questo avviene principalmente per le problematiche che riguardano la ginecologia e non interessano la procreazione. Ad esempio avere una diagnosi di vulvodinia, patologia che provoca un forte bruciore alla parte esterna dei genitali femminili tanto da sfociare in una infiammazione dei nervi dell’area pelvica, è un calvario infinito. Per chi ne soffre, fare la pipì, avere un rapporto sessuale, anche uscire con gli amici e godersi una vacanza, diventa un’impresa impossibile. Ma per il Ministero della Salute non esiste come problematica medica, la vulvodinia è infatti considerata una «malattia invisibile», cioè non è riconosciuta, non le si associa alcun codice, non rientra nei Livelli Essenziali di Assistenza (Lea), non esiste alcuna esenzione. Eppure i sintomi della vulvodinia sono tanti, ripetuti, costanti, a tutti gli effetti è una malattia cronica.

Oltre a essere malattie invisibili, i numeri dicono che sono anche malattie «femminili»: di vulvodinia soffre il 16 per cento della popolazione femminile; le malate di endometriosi sono circa 3 milioni; di dolore pelvico – che comprende alcune patologie come la neuropatia del pudendo, la sindrome della vescica dolorosa, il lichen sclero-atrofico, il vaginismo, l’ipercontrattilità del pavimento pelvico e il colon irritabile, altri 3,5 milioni di persone. L’unica che ha una connotazione anche maschile è la fibromialgia, che interessa tra i 2 e i 4 milioni di italiani ma ha un rapporto decisamente sbilanciato: per ogni fibromialgico di sesso maschile, ce ne sono nove che sono donne.

Per indagare davvero cosa si ha, per curarsi poi (non bastano solo i farmaci ma servono molte sedute di riabilitazione pelvica) le pazienti spendono migliaia di euro l’anno. E i tempi della diagnosi sono lunghissimi se non si trova immediatamente il/la professionista competente: anche cinque anni per arrivare a individuare la vulvodinia, addirittura sette e mezzo per l’endometriosi, cinque per la fibromialgia.

Le cause – ribadiamolo- sono molteplici e riguardano anche la sfera culturale: la normalizzazione del dolore femminile ad esempio, è un tassello importante per quello che riguarda avere una diagnosi. Culturalmente è considerato normale che una donna soffra, sia per il mestruo che per i rapporti sessuali. Dall’altra, invece, come abbiamo visto, c’è un problema di preparazione medica. Ancora oggi sono pochi quelli che conoscono queste patologie, anche perché nei corsi di medicina, non essendo malattie riconosciute, non vengono affrontate e così restano fuori anche dalle scuole di specializzazione.

Questo percorso ad ostacoli verso la propria salute, è un ulteriore carico mentale per le donne, che le spinge ad abbandonare ogni percorso di cura. Un carico che si aggiunge a quello domestico e familiare, a cui molto spesso è impossibile sottrarsi, in quanto tutto il nucleo familiare si regge sul lavoro di cura femminile.

 

Cos’è il carico mentale femminile e perché è uno dei motivi per cui le donne rinunciano alle cure?

 

Per chi non ne avesse sentito parlare, la ‘charge mentale’ o ‘carico mentale’ domestico, è quel fenomeno per cui le donne, all’interno di una coppia e nella gestione della famiglia e della casa, si trovano a dover pensare a ogni minimo particolare. È un lavoro di gestione, pianificazione e anticipazione che si somma a quello che già si svolge fuori casa. Un vero e proprio lavoro che il più delle volte viene completamente sottovalutato, ma che concretamente esaurisce le energie mentali e fisiche delle donne lasciandole in una condizione nettamente svantaggiata. O forse sarebbe meglio dire “sfinita”.

Sì perché anche per le donne lavoratrici il carico mentale rappresenta una vera e propria bomba atomica: essere madre, o anche non esserlo ma comunque prendersi cura della casa, e al contempo svolgere una qualsiasi professione porta ad un carico di stress fisico ed emotivo non indifferente. Come si può aggiungere anche quello sanitario?

È davvero sempre possibile avere tempo per recarsi a fare una visita? “E se la visita è in orario differente da quello scolastico, dove lascio i figli? A chi posso rivolgermi? E se devo eseguire un percorso di riabilitazione, che mi occupa tempo, richiede energie e un impegno economico, dove lo inserisco nella gestione e routine familiare? Potrò davvero non saltare nessuna seduta a causa degli impegni familiari?”

Quindi accade che per stare dietro a tutto e tutti, si finisce col trascurare l’unica cosa che sembrerebbe tralasciabile: sé stessi, la propria realizzazione e ovviamente la propria salute.

Sono molte le donne che, sovraccaricate dagli impegni quotidiani, mettono da parte la carriera o, peggio ancora, rinunciano ad avere interessi, passioni e aspirazioni personali. Questo, sul lungo periodo, può portare ad una progressiva perdita di motivazione e voglia di fare, che potrebbe sfociare in uno stato di profonda insoddisfazione. Un carico mentale eccessivo quindi ha gravi ripercussioni sulla salute e conduce a lungo andare a stati acuti di ansia, attacchi di panico, burnout o depressione. Senza contare tutta una serie di altri effetti collaterali, quali insonnia, stanchezza cronica, calo della libido e problemi relazionali.

Giornalista ed imprenditrice, esperta in tematiche riguardanti gli stereotipi di genere nella medicina. Titolare del centro Io Calabria e Direttrice di Io Calabria Magazine