La Festa della Mamma
La società cambia: mode, stile e costumi mutano, si traformano le coppie e le esigenze di vita delle persone, ma al contempo pare che nessuno si aspetti dei cambiamenti nel modo di essere delle madri. Analizziamo ad esempio la Festa della Mamma: La prima donna omaggiata da questa ricorrenza fu, nel 1908, Ann Reeves Jarvis, un’attivista per i diritti umani della Virginia che si batté per promuovere l’assistenza alle famiglie bisognose. Alla sua morte, la figlia Anna istituì una giornata in sua memoria per celebrare le donne che quotidianamente si occupano delle faccende domestiche e familiari, senza vederne riconosciuto il merito.
Nonostante questa celebrazione abbia avuto negli anni molteplici connotati, prima di diventare un appuntamento prettamente commerciale, è interessante soffermarsi sul suo significato originale. Questo perché, a distanza di più di un secolo, e dopo una lunga storia di emancipazione femminile, le donne svolgono tuttora la maggior parte dei lavori non retribuiti, come la presa in carico dei figli, delle loro attività e della cura della casa. A seguito di ciò, risultano anche gravemente penalizzate sul mercato del lavoro.
Perché le donne sono penalizzate dalla maternità?
Alcuni ricercatori suggeriscono che questi fenomeni siano legati ad una perpetuazione di norme sociali stereotipate. Secondo questa visione, che identifica l’uomo come il breadwinner, letteralmente colui che porta a casa la pagnotta, il padre deve essere sostenuto nel momento in cui la famiglia si allarga. Seguendo la stessa logica, le madri sono coloro che dovranno occuparsi dei figli e delle faccende domestiche. Per la loro impossibilità di dedicarsi pienamente all’attività lavorativa, esse verranno dunque penalizzate. Questa spiegazione sembra anche giustificare il fatto che il tasso di occupazione femminile in Italia sia diminuito del doppio rispetto a quello maschile nel secondo trimestre del 2020, a seguito della pandemia.
Maternità è anche sinonimo di instabilità?
Secondo il 7° rapporto “Le Equilibriste. La maternità in Italia nel 2022” ben il 42,6% delle mamme tra i 25 e i 54 anni non è occupata, con un divario rispetto ai loro compagni di più di 30 punti percentuali. Oppure, laddove il lavoro sia stato conservato, spesso si trasforma in un contratto part-time, per il 39,2% di donne con 2 o più figli minori. Nel primo semestre 2021, solo poco più di 1 contratto a tempo indeterminato su 10, è a favore delle donne.
Basti pensare che nel 2020 sono state più di 30mila le donne con figli che hanno rassegnato le dimissioni, spesso per motivi familiari o perché non supportate da servizi sul territorio, carenti e troppo costosi, come gli asili nido. Dovendo fare i conti anche con servizi sul territorio sempre più carenti, il risultato che si ottiene è un quadro critico del contesto italiano, che vede diminuire il tasso di natalità. Infatti, i nuovi nati sono al di sotto della soglia dei 400mila, in diminuzione dell’1,3% sul 2020 e di quasi il 31% rispetto al 2008.
“Le riforme in atto, come il Family Act o la legge sulla parità salariale, sono passi avanti, ma occorre completare il quadro con investimenti consistenti: dal sostegno al reddito, alle politiche fiscali, all’offerta di un’infrastruttura di servizi, alla qualità del sistema scolastico, alle misure di conciliazione, tutto influisce sul benessere del nucleo familiare e anche sul tasso di fertilità che sta segnando picchi drammatici ormai in Italia.” ha sottolineato Raffaela Milano, Direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the Children.
Gender Gap
Continua ad essere sempre più larga la forbice tra i redditi delle donne e degli uomini, tanto che ormai questa condizione viene definita “motherhood penalty” o “child penalty gap”, e fa riferimento alle penalizzazioni che la maternità provoca a livello lavorativo, sociale ed ideologico. Le donne, quindi, a differenza degli uomini, sono ancora in notevole svantaggio quando, nei loro orizzonti di vita prende corpo la decisone di avere un figlio. E questo avviene non solo sul versante occupazionale, ma anche su quello retributivo.
Non è un Paese per madri
Ne abbiamo parlato con Alessandra Minello, ricercatrice in Demografia al Dipartimento di Scienze statistiche dell’Università di Padova. Studia le differenze di genere in Italia e in Europa negli ambiti della scuola, della famiglia e del lavoro e autrice del libro Non è un Paese per madri edizioni Laterza.
“Viviamo in un Paese – racconta Alessandro Minello– in cui la maternità è un percorso ad ostacoli cui si arriva tardi, se ci si arriva, e che crea oggettivi svantaggi nella vita lavorativa. Ciononostante resiste pervicace il mito della maternità. La madre è depositaria unica della virtù della cura, schiacciata dal peso della perfezione, dalle responsabilità e dal senso di colpa. Questo libro vuole fare chiarezza su cosa significhi essere o non essere madri in Italia oggi e su quanto bisogno ci sia di impegnarsi insieme tutte, ma anche tutti, perché la maternità sia una scelta libera, non crei ostacoli alla carriera e smetta di essere un mito che crea aspettative e pressioni sociali enormi. (…) Il focus del libro sarà sulla fase più recente di questa evoluzione, quando il desiderio ha assunto nuove sfaccettature rispetto al passato. Oggi che avere un figlio non è più l’unica via di realizzazione, il desiderio di maternità rimane una spinta potente per molte donne, tanto da esserci sempre più prime nascite oltre i quarant’anni, anche grazie al ricorso alle tecniche di procreazione assistita. L’Italia più di altri Paesi soffre oggi del cosiddetto fertility gap, la differenza tra il numero di figli desiderati e la fecondità realizzata. Il numero di figli per donna è attualmente inferiore a 1,3, il che ci colloca tra i Paesi a lowest-low fertility, la più bassa tra le basse fecondità”.
Guarda qui l’intervista ad Alessandra Minello
Dica 33 Ep.2 – Non è un paese per madri di Alessandra Minello – YouTube
Ascolta qui l’intervista al Podcast Dica 33
Dica 33 Rubrica di Salute e Cultura di Io Calabria Magazine