Il consenso informato al momento del parto: quali informazioni devo ricevere dal mio medico?
Garantire il diritto alla salute vuol dire estendere la medesima tutela al diritto all’integrità fisica, il diritto a curarsi e il diritto a non curarsi e si accompagna, inevitabilmente, con il diritto all’autodeterminazione, secondo il quale il singolo tutela la sua salute come espressione della propria individualità ed autonomia, comportando ciò un’assenza di supremazia da parte del medico, ma un perfetto connubio tra le due autonomie.
L’unione delle competenze è ancor più evidente in ambito ostetrico, nel quale la donna può e deve fare ricorso alle proprie conoscenze innate, affinché le stesse, in abbinamento a quelle del medico, le consentano di vivere una buona esperienza di parto.
Reduci da un’epoca di eccessiva medicalizzazione dell’evento nascita, è importante fare attenzione all’inadeguata mancanza di informazioni che rischia di mettere la donna in una condizione di immobilità che costringe, di conseguenza, l’operatore sanitario ad assumere decisioni. Non sempre queste corrispondono ai desiderata della partoriente e possono, pertanto restituirle un senso di insoddisfazione e inadeguatezza.
Come qualunque altro paziente, la gestante che giunge in una struttura sanitaria, deve prestare il consenso informato per ogni singolo trattamento che le venga proposto.
Il consenso informato cos’è e a cosa serve?
Il consenso informato è l’accettazione che il paziente esprime a un trattamento sanitario, in maniera libera, previamente informato in maniera esauriente dal medico sulla natura e sui possibili sviluppi del percorso terapeutico, ovvero sui benefici, gli effetti collaterali e i rischi ragionevolmente prevedibili e l’esistenza di valide alternative terapeutiche. In sostanza, il paziente dà ai sanitari, l’autorizzazione per l’effettuazione di interventi di natura invasiva sul proprio corpo. Sebbene il consenso informato assolva il fondamentale compito di garantire il diritto all’autodeterminazione del paziente in ordine alle scelte inerenti il proprio corpo e la propria salute, la sua sottoscrizione è divenuta un automatismo per le strutture sanitarie, che molto spesso predispongono delle dichiarazioni prestampate che non tengono conto delle peculiarità del tipo di trattamento al quale il paziente viene sottoposto.
L’assenza della preventiva accettazione alla prestazione sanitaria o la sottoscrizione di un consenso informato incompleto, rappresentano una autonoma voce di danno suscettibile di risarcimento, in quanto il bene giuridico leso è proprio l’autodeterminazione nelle scelte terapeutiche, anche in caso di effettivo buon esito dell’intervento medico.
Consenso informato: che forma deve avere?
La legge non impone alcuna formula sacramentale per la manifestazione del consenso informato in ambito medico, anche se quella scritta resta la più agevole, soprattutto come prova.
Prassi vuole che il sanitario si avvalga, il più delle volte, di un modulo prestampato contenente le avvertenze della prestazione sanitaria che dovrà eseguirsi sul paziente. Sul punto, tuttavia, è bene precisare che, allorquando si ricorra a tale forma, il medico è onerato di accertarsi, prima della sottoscrizione, che il paziente abbia compreso il contenuto e che non abbia dubbi in merito.
Il consenso in ogni caso deve essere scritto nei casi in cui l’esame clinico o la terapia medica possono comportare gravi conseguenze per la salute e l’incolumità della persona. Se il consenso è rifiutato, il medico ha l’obbligo di non eseguire o di interrompere l’esame clinico o la terapia in questione.
Il consenso informato è sempre valido?
Va da sé che se la finalità del consenso informato mira ad informare concretamente il paziente dei rischi della procedura medica, la firma di un atto privo dei requisiti di chiarezza e precisione sull’intervento o trattamento terapeutico è invalido e da diritto al risarcimento del danno.
A tali fini, la Cassazione ha ribadito più volte che il consenso informato deve essere:
- sempre completo ed effettivo;
- deve provenire dal paziente in modo specifico ed esplicito;
- deve essere attuale ed informato, ovvero consapevole.
Con la Sentenza n. 10414/2016 la Corte ha precisato che “in materia di responsabilità per attività medico-chirurgica, il consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, impone che quest’ultimo fornisca al paziente, in modo completo ed esaustivo, tutte le informazioni scientificamente possibili riguardanti le terapie che intende praticare o l’intervento chirurgico che intende eseguire, con le relative modalità ed eventuali conseguenze, sia pure infrequenti, con il solo limite dei rischi imprevedibili”.
Ne consegue che l’informazione sulla prestazione sanitaria da eseguirsi deve estrinsecarsi in spiegazioni dettagliate e complete, adeguate al livello culturale del paziente, con l’adozione di un linguaggio che tenga conto del suo stato soggettivo e del bagaglio di conoscenze di cui dispone, in grado di informare concretamente sui possibili effetti negativi di una terapia o trattamento chirurgico, sulle possibili controindicazioni e sulla gravità degli effetti, non potendo bastare la sottoscrizione di un modulo prestampato fornito dalla struttura sanitaria.
Con riferimento al momento del parto, i trattamenti sanitari così detti di routine, sono contra legem, ossia è necessario che la donna venga preventivamente ed adeguatamente informata, anche sulla eventuale alternativa terapeutica, e che presti per iscritto ed esente da vizi il proprio consenso. La cartella clinica è un atto pubblico e, come tale, deve essere completa e leggibile e va costantemente aggiornata, la sua alterazione, incompletezza o altro difetto costituiscono reato perseguibile per legge. Durante la degenza ne è responsabile il primario, dopo le dimissioni ne è responsabile il direttore sanitario. Ai sensi della legge sul diritto di accesso agli atti, dietro esplicita richiesta dell’avente diritto, la cartella deve essere rilasciata entro 30 giorni dalla richiesta stessa.
Il piano del parto: che cos’è e come rispettarlo
Affinché si stabilisca un rapporto di collaborazione e di dialogo con la struttura che accoglierà la partoriente, è possibile presentare il piano del parto. Si tratta di un documento, in Italia non vincolante, attraverso il quale la donna chiede che vengano rispettati i propri diritti e che vengano, altresì, messe in pratica le 15 raccomandazioni OMS.
La futura mamma chiede, ad esempio, di poter assumere la posizione a lei più congeniale durante il travaglio; di poter bere e mangiare; di poter avere accanto una persona di sua fiducia (spesso il futuro papà) che la supporti; o ancora di poter avere con sé il bambino immediatamente dopo la nascita e di poterlo subito allattare al seno; così come di non approvare che al bambino vengano somministrati sostituti del latte o altre bevande.
Di fatto, con questo documento, la donna non chiede nulla di diverso da quanto stabilito dall’OMS a tutela della salute di mamma e bambino.
Non è, per il nostro ordinamento giuridico, un documento che le strutture sanitarie sono obbligate ad accettare, ma è un modo per stabilire un dialogo per evitare e prevenire una possibile violenza ostetrica. L’unico modo per evitarlo è proprio quello di informarsi e di far valere i propri diritti.